PRIMO MAGGIO 1947

 




Quella mattina in tanti erano saliti su alla Portella delle Ginestre, un passo al margine di un altopiano montuoso, sul versante orientale del monte Pizzuta.
Era un giovedi e si saliva alla portella in quel luogo che, nel 1893, Nicola Barbato aveva scelto per festeggiare la festa del Lavoro e dei Lavoratori ; il primo Maggio.
Più di 3000 persone, contadini e intere famiglie. Chi a piedi e chi a cavallo salivano su da Piana degli Albanesi e dal versante opposto, San Giuseppe Jato e San Cipirrello.
Si festeggiavano i primi successi della lotta della classe operaia e la vittoria elettorale della sinistra alle elezioni regionali del 20 di Aprile.
Da Piana erano partiti a piedi anche due fratelli di mio padre: erano appena tre chilometri da casa al passo.
Lui si era attardato. Era un giorno di festa e nel pieno dei suoi diciannove anni voleva rendersi presentabile dopo aver lavorato nei campi e governato le mucche. Dopo essersi rasato per bene il viso e indossato la sua camicia migliore si incamminò anche lui verso Portella.
Passata contrada Gamillo e oramai vicino al passo senti dei botti, come dei mortaretti. Pensava a qualche fuoco d’artificio per la festa. Dopo una curva incontro gente che correva in direzione di Piana.
Scappavano impauriti, alcuni con il volto coperto di sangue - Hanno sparato, hanno sparato – urlavano.
Pensò che su c’erano i suoi fratelli. Corse, corse più che poteva. Trovò il primo fratello e insieme cercarono l’altro mio zio che era più vicino al luogo della festa. Fortunatamente era inciampato ed era cascato in un fosso, riparato dalla carcassa di un mulo abbattuto.
Gli esponenti della grande proprietà terriera, della mafia e dei partiti conservatori locali, preoccupati dall’avanzata del Blocco Popolare avevano armato la mano di Salvatore Giuliano.
Avevano sparato su gente inerme andata li per festeggiare.
Un giorno di festa era diventata la prima strage della neonata Repubblica Italiana.

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